Se l’autismo è un modo diverso di vedere ed elaborare il mondo, è ovvio che questo comporta alcune particolarità – né migliori né peggiori, solo differenti – quando si tratta di concepire aspetti come il rapporto di coppia la paternità e la maternità.
Tuttavia, quando ci troviamo a descrivere qualcosa di tanto complesso come la genitorialità, può risultare difficile difficile discernere quali caratteristiche specifiche dell’autismo influiscono sulle decisioni riguardo il modo di affrontare la quotidianità con il bambino, o come gestire la suddivisione dei compiti con il partner. Come abbiamo sempre detto, l’autismo è uno spettro e non esistono due persone autistiche uguali. Ma allora, esiste un modo ‘autistico’ di affrontare le relazioni? O di affrontare la genitorialità? O dipende semplicemente dalla personalità di ciascuna persona? In questo articolo cercheremo di analizzare diversi punti di vista su questo argomento.
Ci sono pochissimi studi su madri e padri autistiche e autistici; Infatti, la stragrande maggioranza degli studi tende a parlare di figli autistici, lasciando in secondo piano i genitori – soprattutto nel caso delle donne, che continuano ad essere sottodiagnosticate. Nonostante ciò, è stato riscontrato che ci sono il 17% e il 23% dei genitori di bambini autistici hanno quello che viene definito un fenotipo autistico allargato, cioè presentano alcune caratteristiche autistiche, senza però essere sufficienti per raggiungere una diagnosi. Tuttavia, è probabile che il genitore autistico sperimenti un aumento dello stigma sociale se condivide la diagnosi con altri genitori e/o professionisti.
Sfide, difficoltà e ricompense
Per questo articolo abbiamo parlato con due persone con esperienze diverse per scoprire la loro visione della maternità e della paternità e le loro relazioni di coppia. La prima è Andrea; è una psicologa specializzata in autismo e madre di un bambino di un anno. E il secondo è Joan, padre con autismo (definizione scelta da Joan, n. d. T.) di un bambino di quattro mesi.
Per Andrea la decisione di avere un figlio è stata qualcosa di molto ponderato: “L’ho vissuta come una rinuncia nella mia vita, e penso che in un certo senso lo sia, nonostante tante altre cose belle. È una rinuncia ad avere tempo libero, a dare la priorità a me stessa, a condividere momenti di svago con il mio partner, anche con una parte della mia identità. Ma, nonostante questo, ora mi vedo più matura, con più pazienza e sono molto contenta della mia decisione”.
Joan è d’accordo con Andrea, e aggiunge anche: “All’inizio i bambini piangono sempre, e la stanchezza fa sembrare che la testa stia per esplodere. Mio figlio però è il mio piccolo tesoro, è purezza, non ha tutto il bagaglio negativo che ci è stato inculcato. È il mio progetto di vita”.
Diagnosi e stigma dell’autismo
In relazione alla sua condizione di padre con autismo, Joan commenta: “Penso di sentirmi giudicato, ma è anche qualcosa su cui devo lavorare per me stesso. Spesso mi sento inferiore agli altri e devo imparare a non dimostrare costantemente che valgo. L’autismo mi ha condizionato per tutta la vita; forse, se non avessi avuto questi tratti, sarei stato padre prima. È difficile fare supposizioni, ma se non avessi avuto tante paure, forse sarei stato preparato prima”.
Andrea, dal canto suo, ha voluto raccontarci cosa succederebbe se suo figlio ricevesse una diagnosi di autismo: “Credo che in me si risveglierebbero tante paure. Durante il mio viaggio con l’autismo vedo molta sofferenza e ne ho paura, ma non a causa della condizione in sé, bensì a causa di ciò che implica la differenza. Ad esempio, mio figlio ha i capelli rossi, ed è una cosa che amo, ma so che è una differenza che può farlo deridere o prenderlo in giro, e mi preoccupa. E con l’autismo, come con qualsiasi altra differenza, potrebbe accadere la stessa cosa, perché la società molte volte funziona così, rifiutando o puntando il dito contro chi non è come la maggioranza.
Valori e insegnamenti positivi
Joan è molto chiaro su come vuole educare suo figlio: “Non voglio tarpargli le ali o costringerlo a essere in un determinato modo, ma voglio anche proteggerlo e cercare di mantenerlo il più pura possibile. Anche se, alla fine, dobbiamo inserirci nella società e imparare a sopravvivere in questa giungla, e questo è più complicato. Ma, almeno, voglio provare a farlo sentire libero a casa sua, e imparare a rispettare gli altri”.
A questo punto Andrea spiega di avere in casa quattro quadri con frasi e disegni di animali che rappresentano alcuni dei valori che vorrebbe trasmettere al figlio: “Il primo è che sia unico, nel senso che sia come vuole essere, senza paura di essere giudicato; il secondo è che sia curioso, che desideri imparare dalla vita e che abbia una mente aperta; il terzo è che sia coraggioso per affrontare le situazioni complicate che verranno, e che impari ad alzarsi o, in caso contrario, a chiedere aiuto per andare avanti, e, infine, che sia felice, che faccia delle cose che lo soddisfino. Inoltre vorrei che fosse anche generoso e rispettoso con le persone, e ho una grande responsabilità nel trasmettergli queste qualità, perché io sono il suo modello e lui imparerà da me”.
Relazioni di coppia
Joan sta con la sua compagna da sette anni e afferma che gli ha insegnato ad amare veramente: “È una persona molto paziente e mi ha sempre accettato per come sono. A volte è difficile perché la vedo molto simile a me e ci sono cose di me che non mi piacciono, ma più la amo, più amo me stesso. È un processo di apertura del cuore, ed è un processo lento. Avevo sempre immaginato l’amore come un film Disney, molto platonico, e ora capisco che, alla fine, l’importante è l’impegno quotidiano, il progetto di vita che condividi con una persona”.
Infine Andrea aggiunge: “per me la cosa più importante è che il mio compagno mi faccia ridere, che ci sia complicità, comunicazione e rispetto. Ora, dopo alcuni mesi di tensione per l’estrema stanchezza che comporta avere un bambino piccolo, penso che io e il mio compagno formiamo una bella squadra con nostro figlio”.
Nel seguente articolo parleremo con Marina, mamma autistica di un bambino autistico di 12 anni, e scopriremo come ha vissuto il processo della maternità, cosa ha significato per lei la diagnosi – sia quella del figlio, a tre anni, che la sua, a 50 anni, e come affronta le sfide che incontra nella sua quotidianità.
Articolo di Montse Bizarro, Specialisterne España