“Reciprocità vuol dire mettersi tutti sullo stesso piano: persone neurotipiche e persone autistiche.”
E’ un concetto diverso da quello di inclusione che è più, invece, un gesto paternalistico di una maggioranza nei confronti di una minoranza”, sottolinea Acanfora. “Reciprocità nell’inserimento lavorativo vuol dire non solo preparare il lavoratore all’occupazione che andrà a svolgere e all’ambiente in cui andrà a trovarsi, ma vuol dire anche formare l’azienda nei confronti della persona autistica”
“Una persona autistica può avere modalità di comunicazione e interazione che sono diverse dalla maggioranza- sottolinea ancora Acanfora- in molti casi si usa una comunicazione molto diretta, letterale. Ecco allora che informazioni poco precise o che contengono ambiguità, come ad esempio ‘mandami il lavoro quando puoi’, possono creare difficoltà.
Oppure durante una riunione può diventare difficile per un autistico capire quando deve prendere la parola se non viene interpellato direttamente, possono infatti sfuggirgli segnali come uno sguardo o un cambio di inflessione della voce. Si tratta di modalità di funzionamento differenti- precisa Acanfora- e anche in questo caso se l’azienda è preparata, tutta una serie di cose che potevano essere viste come deficit iniziano ad apparire come semplici differenze”
Si arriva a capire che deve esserci reciprocità, ossia bisogna venirsi incontro senza partire dall’idea che siamo sempre noi autistici quelli che non capiscono e devono essere aiutati”. Specialisterne “cerca di spiegare in che modo è possibile facilitare l’interazione e aiuta ad aprire la mente al fatto che ci sono tanti diversi funzionamenti”.
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