Come elaborare gli stimoli di un mondo caotico
È frequente sentire dire che le persone autistiche elaborano le informazioni in modo diverso, ma cosa intendiamo esattamente con questo? Cosa significa il termine “elaborazione” e quali attività o azioni vi sono correlate?
In realtà, una parte enorme della nostra vita ruota attorno al nostro stile o modo di elaborare gli stimoli esterni. Per semplificare, l’elaborazione si riferisce al nostro modo di percepire le informazioni che ci arrivano attraverso diversi canali (una conversazione, una carezza, un forte rumore, un’espressione facciale di disgusto o gioia, ecc.) e, successivamente, in come integriamo tutti questi dati nel nostro cervello per dargli significato e coerenza. Infine, dobbiamo sviluppare una risposta per soddisfare le esigenze dell’ambiente.
Elaborazione nell’autismo: visiva, dettagliata, sequenziale
L’elaborazione nell’autismo, a differenza di quanto accade nelle persone neurotipiche, è molte volte profonda, sequenziale (cioè, una cosa dopo l’altra), meticolosa, orientata ai dettagli e specializzata. Per tutti questi motivi, è frequente eccellere nella memorizzazione di fatti o immagini (soprattutto a lungo termine), nell’analisi dettagliata di diverse questioni, in compiti in cui compaiono dati specifici e verificati e/o informazioni esplicite (invece di accenni o riferimenti ambigui), nel ricordare eventi accaduti molto tempo fa, nel trovare schemi e sequenze, o in compiti che richiedono ragionamenti logici e nel focalizzare la nostra attenzione su un compito specifico, tra molte altre attività.
Inoltre, sempre generalizzando, le persone autistiche cercano costantemente pragmatismo e utilità in tutto ciò che fanno (non ci piacciono le informazioni superflue e preferiamo invece quelle chiare e dirette), e abbiamo un forte senso della correttezza (quest’ultima caratteristica può essere considerate virtù ma, purtroppo, la società tende ad etichettarci come “rigidi” e inflessibili per aver cercato di attenerci sempre a ciò che riteniamo corretto). Infine, un’altra caratteristica comune a a un certo numero di persone autistiche, è un pensiero che potremmo definire visivo: è molto probabile che comprenderemo meglio un’informazione se è accompagnata da immagini, pittogrammi, diagrammi e altri tipi di supporti visivi.
Come è logico, non esistono due persone autistiche uguali. Potrebbe esserci qualcuno che non si distingue per la memoria a lungo termine, o che ha una straordinaria capacità di interpretare informazioni ambigue, ma è vero che una buona parte di noi è caratterizzata da questo tipo di elaborazione più dettagliata (il famoso “iperfocus”, che ci aiuta a concentrarci e dimenticare tutto il resto), e che preferiamo fare le cose una alla volta piuttosto che occuparci di più compiti contemporaneamente. Ma, come per i neurotipici, l’autismo è uno spettro e ognuno di noi ha specifici punti forti e meno forti, al di là di queste considerazioni generali.
Esigenze dell’ambiente neurotipico
Come abbiamo appena visto, le persone autistiche hanno un gran numero di talenti specifici, ma cosa succede quando interagiamo con l’ambiente? È qui che arrivano i problemi. In generale, il mondo è mutevole e imprevedibile, ed è governato da regole spesso ambigue e astratte, invece che logiche e concrete. Inoltre, le interazioni sociali richiedono di frequente l’elaborazione di un gran numero di stimoli in parallelo, oltre a richiederci di fare inferenze basandoci su informazioni confuse e poco esplicite (toni di voce che suggeriscono stati d’animo specifici, per esempio).
Preferiamo relazionarci con persone e ambienti prevedibili, strutturati e controllabili. Inoltre, ci aiuta molto nelle nostre prestazioni quotidiane avere routine più o meno fisse, pianificare i nostri compiti e anticipare problemi o ostacoli prima che si verifichino.
Tuttavia, siamo costantemente di fronte a richieste imprecise (ci vediamo “dopo”; passami questo compito “tra qualche giorno”, ecc.), con regole sociali che cambiano significato a seconda del contesto in cui ci troviamo (bisogna salutare in modi diversi a una festa e in una riunione di lavoro, ad esempio), con conversazioni simultanee (che richiedono anche una capacità di risposta rapida) e non lineari, o con codici poco letterali nelle interazioni sociali (metafore, battute, giochi di parole, ecc.) e con ambienti di lavoro che purtroppo tendono a premiare l’immediatezza, il famoso “multitasking”, buone prestazioni sociali e la capacità di adattamento e flessibilità di fronte ai cambiamenti, a scapito di una ricerca concreta e meticolosa o del rigore nello svolgere determinati compiti.
Molte persone autistiche, ovviamente, possono adattarsi a queste richieste. In realtà lo facciamo da tutta la vita, è il “masking”, l’indossare una maschera e attuare tutti quei comportamenti che vediamo premiati nella società, cosa che però rappresenta un costo inimmaginabile per noi. Poiché il nostro stile di elaborazione è diverso, ci sforziamo costantemente di inserirci in un mondo che non è progettato per noi, e quindi molto spesso finiamo per essere esausti dopo aver socializzato per molte ore, o abbiamo meltdown o shutdown quando cerchiamo di sostenere situazioni in cui ci sentiamo a disagio (una discussione che coinvolge molti stimoli, per esempio, o un viaggio in treno nelle ore di punta), così come i burnout dovuti a non avere adeguati adattamenti sul posto di lavoro.
Inoltre, se non siamo in grado di identificare i nostri bisogni e chiedere al nostro ambiente di ascoltarci e capirci, è molto probabile che la nostra ansia peggiori di giorno in giorno e che avremo altri problemi di salute mentale (depressione, disturbo post-traumatico da stress, ad sesmpio).
Va notato qui che il problema non è necessariamente in noi, e che non c’è alcun difetto individuale che deve essere corretto, ma che molte delle difficoltà che hanno le persone autistiche sono causate da questa interazione con un ambiente pensato da e per le persone neurotipiche. In più, c’è lo stigma di classificare come sbagliato o difettoso tutto ciò che non è comune alla stragrande maggioranza, e quindi parlare di neurodivergenze e di come si manifestano certi tratti del nostro carattere è ancora un tabù, qualcosa di scomodo per buona parte della popolazione. Non guardarsi negli occhi, ad esempio, è disapprovato e può anche essere considerato irrispettoso.
Bisognerebbe spostare il focus per cercare soluzioni reali; È la società che disabilita molte persone neurodivergenti (per come sono disegnate le procedure burocratiche, per l’eccesso di stimoli che certi spazi richiedono, ecc.), ed è la società che dovrebbe adattarsi fino a ottenere una rispettosa convivenza tra pari, invece di costringerci ad adattarci a schemi che ci causano molte sofferenze quotidiane.
Esempi di elaborazione profonda
Fin dalla tenera età noi persone autistiche intuiamo di essere diverse dalle altre, ma spesso non ne comprendiamo bene il motivo. Io, ad esempio, ho notato che avevo grosse difficoltà in certi ambiti o attività ritenute facili dalla maggioranza, mentre invece determianti compiti più complicati (a detta delle maestre, dei genitori e degli altri bambini) riuscivo a svolgerli praticamente senza battere ciglio, molto più velocemente rispetto al resto dei compagni di classe. All’epoca non lo sapevo, ma quella strana sensazione di essere goffa e “geniale” allo stesso tempo era strettamente correlata all’avere uno stile di elaborazione atipico.
Ad esempio, per me è sempre stato molto difficile capire i film d’azione, d’avventura o di fantasia, dato che di solito hanno molti personaggi secondari, trame e sottotrame parallele, scene che si susseguono velocemente, molti stimoli da elaborare in poco tempo, un gran numero di effetti speciali e, a volte, un’esposizione non lineare degli eventi che si verificano nelle diverse trame. Ho sempre avuto un complesso su questo tema, perché i film d’azione sono considerati semplici dalla stragrande maggioranza delle persone. Molti amici tendono a guardarli anche per staccare, senza prestarci troppa attenzione, e invece per me è è praticamente impossibile guardarne uno senza fermarmi ogni due minuti per leggere il riassunto di quello che è appena successo. Mi ci sono voluti 28 anni per capire e accettare che, semplicemente, molte cose nei film di azione mi stressano o mi mettono a disagio, e che non c’è assolutamente niente di sbagliato nel riconoscerlo e conviverci.
Al contrario, riesco facilmente a capire manuali di teoria di diverse materie, e leggere per ore libri di psicologia, filosofia, letteratura e molti altri argomenti di mio interesse, pur avendo questi libri un vocabolario tecnico e costruzioni sintattiche e grammaticali che molte persone faticano a maneggiare o che considerano complicati. Perché accade? È molto semplice: questa attività richiede un’elaborazione lenta, profonda, meticolosa in cui concentro l’attenzione su un unico focus, analizzando in dettaglio e al mio ritmo ciò che leggo. Inoltre, le spiegazioni in questi libri sono esplicite, senza puntini sospensivi o lacune da riempire con la tua immaginazione, con informazioni soggettive.
Mi sono sempre chiesta perché non ho mai capito i film di intrattenimento però leggo libri di teoria fin da piccola. Non ha niente a che fare con l’essere più o meno intelligenti, ma con il modo di elaborare e integrare le informazioni dall’esterno. Proprio per questo motivo vi invito a frequentare altre persone autistiche, in modo che tutti possiamo arricchirci a vicenda attraverso i nostri modi unici e peculiari di comprendere il mondo.
[Articolo di Montse Bizarro, persona autistica e collaboratrice di Specialisterne España]
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